Io sono G., codipendente…

lo sono G. codipendente; per me avere fatto il Terzo Passo e affidare a Dio la mia volontà e la cura della mia vita è stata una conseguenza dei primi due Passi. Quando ho finalmente capito che non potevo governare la mia vita e quella degli altri con l’ostinazione e l’ossessione (caratteristiche di me codipendente), ho ammesso la mia impotenza e ho ammesso che un Potere più grande mi poteva dare l’equilibrio che mi mancava.

Così è venuto da sé fare il Terzo Passo, “AFFIDARMI A LUI”; mi ricordo che ho pregato perché questo potesse succedere, ed infatti come per miracolo, facendo questi tre Passi, il mio fardello si è alleggerito di quei quintali che rischiavano di schiacciarmi.

Ringrazio Dio per avermi guidato e fatto capire tutto questo, che vuol dire diventare più umile. Grazie.

Anonimo.

Quando vado per strada in auto…

Quando vado per strada in auto e un cartello stradale mi indica che devo girare a destra o sinistra, io ci credo e mi aspetto la curva, e così faccio con tutti gli altri cartelli senza avere la pretesa di andare prima a vedere se il segnale dice il vero; in questo modo mi predispongo ad agire tenendone conto.

Questo succede per molte delle cose nella vita quotidiana: la luce ad esempio, l’acqua… (controllo forse la sua potabilità prima di berla?) e che dire poi quando mi affido ad un medico e sono sotto anestesia …

E la FIDUCIA in un Potere Superiore (in Dio)?

Beh, è un’altra cosa questa, perché ci sono IO di mezzo, perché sono IO che devo decidere di mollare la presa.

A questo punto mi si è imposta una riflessione.

Per accettare con fiducia i segnali stradali sono andato ad una scuola apposita e ho fatto allenamento seguito da un istruttore. In un secondo momento ho cominciato ad andare da solo cercando di tenere presenti sia gli insegnamenti della scuola, sia le condizioni reali del traffico, della strada e del comportamento degli altri guidatori (condizioni che mutano ogni volta e rispetto a cui sono impotente). Da me dipende solo il modo di applicare ciò che ho imparato nella REALTA’ del momento in cui guido.

Così, per cominciare a poter affidare la mia vita a Dio, come io posso concepirlo, ho dovuto cercare di dargli un nome e un volto. Ho cercato come fare per avere una relazione con Lui, come fare per sentirlo presente nella mia storia.

Ho cercato una guida spirituale e una scuola di teologia che ho frequentato per tre anni, e già questo ha creato le priorit? per un cambio di abitudini nella quotidianità.

Adesso affidare la mia vita a Dio significa fare la sua volontà, e per me questo significa vivere in maniera piena e gioiosa la vita che mia stata donata, consapevole che il Dio a cui affido la mia vita mi chiede di essere in armonia con me stesso e di praticare l’amore.

Come faccio però ad agire secondo quanto detto, ed uscire da quella percezione di fondo di una vita come fallimento?

Il chiedermi come faccio è già un progresso, un passo nella direzione sia del desiderio che della speranza di una possibilità; e questo ha portato ad ulteriori studi, approfondimenti e riflessioni, oltre al proseguimento della partecipazione al gruppo e al desiderio di continuare nel Programma CoDA.

Anonimo.

Lavorando sul Settimo Passo…

Lavorando sul Settimo Passo ho potuto riflettere sul termine UMILTA’: non deve essere intesa come sottomissione, falso orgoglio, umiliazione, eccessiva timidezza, ma come onestà con sé stessi, obiettività nelle proprie risorse, desiderio di migliorare. Se riesco ad essere umile in modo sano posso superare la mia naturale timidezza, la paura di affrontare impegni nuovi; riesco a provare quell’intima letizia di essere me stessa con i miei limiti, ma anche con i miei pregi, riesco ad apprezzare gli altri per quello che sono e cogliere in loro quel positivo che c’è in ogni essere umano. Proseguendo nel lavoro ho capito che se voglio migliorare i miei difetti (soprattutto l’incertezza, la dispersività, la paura e l’ansia nel cimentarmi in situazioni nuove o nell’affrontare problemi inaspettati) non posso limitarmi ad analizzare con attenzione i miei difetti, ma devo chiedere a Dio di aiutarmi ad eliminare queste mie imperfezioni. Da sola non ce la posso fare perché oramai mi si sono incollate addosso, costituiscono spesso un rifugio per eludere le mie responsabilità. 

Affidandomi al Signore posso sperare di superare le mie difficoltà soprattutto se sono sinceramente convinta che è Lui che opera nella mia vita, se io gli permetto di agire senza frapporre ostacoli; devo anche abbandonarmi alla sua volontà senza costruire le mie speranze e le mie aspettative.

Per eliminare tanti paletti mi sforzo di aumentare la mia autostima, cerco di eliminare i pensieri autodistruttivi per sostituirli con pensieri positivi e comportamenti costruttivi; mi impegno ad allontanarmi sempre più dalla paura e dalla vergogna e comincio ad accettarmi ed a sottolineare le mie risorse. I piccoli progressi in questo cammino mi daranno la forza di continuare in questo percorso.

Anonima.

La ricaduta emotiva…

La ricaduta emotiva implica il tornare momentaneamente a comportamenti codipendenti per affrontare i rapporti umani o le circostanze della vita.

Tale ricaduta viene detta anche scivolone codipendente; nel percorso di recupero non esiste una astinenza totale dai comportamenti codipendenti, essendo umana sono imperfetta e commetto degli errori: ciò che ci insegna il percorso di recupero è affrontare tali errori.

Come recita il Decimo Passo: “abbiamo continuato a fare il nostro inventario personale e quando ci siamo trovati in torto lo abbiamo subito ammesso”. I nostri errori, come afferma la letteratura approvata CoDA, si rivelano gli aspetti del nostro recupero su cui devo lavorare. Davanti ad una ricaduta posso chiedere aiuto al nostro Potere Superiore oppure posso rifare i Passi per sviluppare comportamenti più sani. Bisogna evitare di umiliare e punire sé stessi per le proprie ricadute, poiché la vergogna è un aspetto della codipendenza. Le chiavi per affrontare le mie ricadute sono: indulgenza, perseveranza e amore da parte del nostro genitore interno. La ricaduta emotiva è spesso causata da un “comportamento limite”, cioè una situazione o un comportamento specifico che scatena la codipendenza. Per mantenere l’equilibrio emotivo ed evitare la ricaduta, dovrei imparare a evitare tali situazioni e comportamenti, come un alcolista deve evitare di bere il primo sorso, o come un mangiatore compulsivo deve evitare quei cibi che possono causare un’abbuffata. Alcuni comportamenti limite possono essere: accettare il sesso come sostituto dell’amore, cercare esageratamente di salvare gli altri, compiacere eccessivamente gli altri, cercare di controllare le persone, infine colpevolizzarci.

Ognuno di noi stabilisce quali sono i propri comportamenti limite. Se abbiamo una ricaduta codipendente causata da uno dei nostri comportamenti limite, possiamo praticare l’amore verso noi stessi perdonandoci. Posso chiedere aiuto a un compagno di viaggio o al nostro potere superiore, o al nostro sponsor, oppure possiamo leggere la letteratura approvata CoDA. La nostra paura e la nostra vergogna diminuiscono quando diventiamo più consapevoli delle nostre azioni e lavoriamo per cambiarle. Una forma particolarmente grave di ricaduta emotiva è la cosiddetta spirale di vergogna. Si definisce così una situazione di crisi caratterizzata da sentimenti di apatia, panico e dolore: ci sentiamo isolati, respinti dagli altri o sciocchi. Davanti a questa crisi abbiamo due possibilità: una autodistruttiva (rimproverare noi stessi, lasciarsi andare a comportamenti sessuali non sani, lasciarci morire di fame o mangiare in eccesso, evitare le persone), oppure intervenire e contrastare tale spirale. Per uscire dalla spirale della vergogna oltre che attuare i comportamenti sopra citati a proposito della ricaduta emotiva, possiamo scrivere i nostri pensieri e sentimenti, parlare con persone fidate, frequentare le riunioni e soprattutto nutrire il nostro bambino interiore con affermazioni positive. In tale modo diminuisce l’intensità della vergogna e riacquistiamo il senso di autostima, autonomia e responsabilità. 

Termino con un’affermazione positiva, tratta dalla letteratura approvata CoDA: la mia anima è come una farfalla: preziosa e libera. Con il recupero posso cambiare. L’amore dell’universo è con me, mentre vivo il mio tempo. Mi rispetto perché agisco secondo i miei valori. Mentre procedo nell’esperienza del recupero, accetto che richieda tempo nelle mie 24 ore e nella mia vita.

Codipendente in recupero 

Anonima

Il Terzo Passo è stato l’avvio….

Il Terzo Passo a stato l’avvio di un percorso che ha dato frutti. In concreto il mio affidamento è avvenuto con la scelta di ubbidire (come un bimbo) alle indicazioni di un medico tossicologo, che mi ha preso in terapia a condizione che io frequentassi un gruppo dei Dodici Passi. Ci sono voluti un anno e sei mesi per uscire dalla fase dei pensieri ossessivi: la diagnosi? Depressione reattiva. La cura: una seduta settimanale dal medico e tre riunioni di gruppo, l’assunzione di farmaci quando prescritti, la lettura della letteratura proposta in gruppo.

Un anno e sei mesi per uscire dalla mia testa e cominciare a vedere ed accettare la realtà delle mie relazioni e cominciare a dirmi la mia storia. Non ho trascorso quel periodo in un letto d’ospedale.

Avevo un lavoro che mi occupava per sette/otto ore al giorno ed era da svolgere in un ufficio assieme ad altre persone; un giorno alla volta ho appreso le nuove mansioni del mio incarico, i vuoti di memoria si sono ridotti, la concentrazione è via via migliorata; ho incominciato a rendermi conto del diverso modo in cui ognuno mi trattava e del modo in cui io mi rapportavo agli altri ed ai diversi compiti. Ho sperimentato che anche per gli altri il vissuto nelle relazioni interpersonali affettive incideva nel concreto dei comportamenti quotidiani sia verso le persone che verso le mansioni: “non capitava solo a me!”. Quello che il giorno prima non era un problema, il giorno dopo era motivo di discussione e/o di esplosione emotiva, essendoci una gerarchia di ruoli ho dovuto misurami con essa e dirmi come reagivo con i capi ed i subalterni; le mie pretese di principio (intellettuali) di eguaglianza fra diversi e con diversi gradi di competenze si sono scontrate con i miei comportamenti concreti di eccessiva compiacenza e disponibilità, ma anche di insofferenza, con l’incapacità di dire con calma ciò che non mi andava bene. Un giorno alla volta le relazioni si sono costruite e modificate, diventando con alcuni stima e simpatia e con altri antipatia. Ma sempre di più riuscivo a vedere i miei atteggiamenti e comportamenti senza condanne (è tutta colpa mia, è tutta colpa sua). Dopo un anno e mezzo di questa terapia intensiva, il medico ha paragonato la mia situazione a quella di una carta assorbente tirata fuori dall’inchiostro; dunque, era superata la fase di crisi, ma per migliorare mi consigliò di proseguire in terapia con un altro medico (e stavolta a pagamento).

Ho continuato a fidarmi ed ho capito di avere i problemi legati alla codipendenza; ero diventata solo reattiva e non più attiva.

E sono giunti frutti inaspettati:

E’ nato il gruppo CoDA di Treviso che quest’anno ha festeggiato i tre anni.

Ma più inaspettato è stato quello di svegliarmi una mattina con il pensiero di gratitudine per la madre che avevo avuto e la mia famiglia d’origine tutta; scomparso il rancore per come mi avevano allevata e insieme scomparsi, sciolti “come le nuvole dopo la pioggia”, i risentimenti ed i sensi di colpa.

Oggi, per me, affidarmi significa che ho da fare solo la mia parte e che per quella sono responsabile.

Oggi, per me, essere responsabile significa accettare di vedere come agisco e parlo e sento per poter progredire rispetto a ciò che posso cambiare nel mio comportamento e nel mio atteggiamento (quale abilità ho utilizzato, quali emozioni ho provato, quali le mie aspettative, quali le richieste degli altri e quale lo standard di ruolo con cui mi confronto). Essenziale oggi, per me, è riuscire ad essere contenta di me stessa, a volermi bene.

Codipendenza non è Amore; io lo credo e lo so perché mi è capitato di avvicinare persone che l’Amore ce l’hanno dentro; in quelle occasioni mi sono sentita cosi al sicuro e protetta e capita, che assieme alla disperazione di rendermi conto di ciò che mi ero persa fino ad allora, è venuto il desiderio di cercarlo anche dentro di me e nella mia storia.

Anonimo.

Ci si può nascondere…

Ci si può nascondere dalla vita nella sua realtà in molti modi

La sofferenza che ho sperimentato e che pensavo di non poter comunicare a nessun altro mi aveva portato in guerra con Dio: io lo pregavo e lui non faceva quello che chiedevo.

La mia fiducia era cieca. lo dovevo imparare a vedere quale era la mia parte (e non i miei voglio) per giungere alla fede in un Potere Superiore. Questa ricerca è stata per me la motivazione per dirmi che vale la pena di continuare a vivere. Un grande dolore può spegnere la vita o sospenderla; quando questo è successo a me, mi sono ritrovato in una solitudine che è diventata isolamento. Ancora oggi mi capita di “perdere le staffe” e di ricadere, ma ho anche sperimentato momenti in cui ho sentito abbandono fiducioso e questo mi ha consentito di “mollare la presa” e di ricordarmi che non Dio ha bisogno della mia preghiera ma che io ho bisogno della preghiera e della meditazione per migliorare giorno dopo giorno il mio contatto cosciente con Dio, che mi permette, così, di vedere in ogni “altro” un essere umano unico e meraviglioso.

Anonimo.

Sono impotente nei confronti degli altri…

Sono impotente nei confronti degli altri.

Nell’affidarmi alla saggezza dei principi del Programma mi concentro e guardo quello che ho da fare io.

Ho da aprire una finestra per far luce sul disordine della mia stanza interna e così facendo posso comunicare anche con gli altri.

Ho da sviluppare il mio “talento” per diventare un giorno alla volta la persona che desidero essere; in questo mi aiutano le Promesse di CoDA perché per me la mancanza di desiderio significa mancanza di speranza e di fiducia ed i miei comportamenti autodistruttivi mi restano attaccati come colla.

Spesso mi ha aiutato il riconoscere che ho violato dei limiti per ottenere dagli altri il comportamento che volevo io; il cercare di essere più onesta con me stessa mi serve da guida non per condannarmi o commiserarmi, ma per vedere che cosa mi fa bene cambiare per me, essere pronta ad eliminare i difetti significa riconoscerli.

Anonima.

Pensiero sul Sesto Passo

Per me ci sono stati difetti che sono stati “utili”. Sembravano quasi proteggermi come una parte molto familiare di me. Poi un giorno, al momento giusto, come un vecchio cappotto, il difetto non è più comodo né utile; non mi sta più bene.

Per tanti anni mi sono nascosta dietro un senso di colpa. Lavorare sui Passi mi ha aiutato a giungere al momento giusto per accettare “che Dio eliminasse” questo difetto.

C’è un momento giusto per tutto prima del quale non riuscirò facilmente a fare le cose che vorrei. Mi dà sicurezza sapere che ho controllo almeno su di questo: posso stare nella merda fino che sono pronta ad uscirne!

Jane